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  • Immagine del redattoreLuca Bello

Oggi 6 febbraio giornata mondiale per la lotta ed il contrasto alle mutilazioni genitali femminili.




L’episodio che ha cambiato la sua vita professionale è avvenuto quando indossava il camice sopra la divisa della Marina militare. Era il 2015, il ginecologo torinese Luca Bello si trovava a bordo di una nave che pattugliava il Mediterraneo nell’operazione Mare Nostrum. In quei giorni visitava centinaia di ragazze e donne migranti salvate dai naufragi al largo delle coste italiane: «Moltissime presentavano una mutilazione dei genitali, un tema di cui allora si parlava poco», ricorda. Da quel momento ha iniziato frequentare corsi in consultori e congressi internazionali per studiare quel rituale arcaico, proibito quasi ovunque ma ancora praticato in moltissimi Paesi, specie nell’Africa subsahariana: la mutilazione genitale femminile. Una pratica, realizzata senza anestesia in ambienti non salubri, che comporta menomazioni, dall’asportazione del clitoride fino all’occlusione della vagina.

A Torino il dottor Bello è diventato un referente per questo tema sommerso. Nel 2017 è stato chiamato d’urgenza da alcuni colleghi che stavano assistendo una paziente senegalese durante il travaglio: «Non avevano mai visto nulla di simile: quella ragazza aveva subito un’infibulazione e non poteva partorire», racconta. Dopo un’operazione chirurgica la giovane riuscì a dare alla luce al figlio senza problemi. «Con una buona informazione si riesce a evitare che la donna perpetui quel rito dannoso sulla pelle della figlia», spiega il dottor Bello.

Con questa missione è nato nel novembre del 2021 un servizio ad hoc per le vittime di mutilazioni genitali femminili: è ad accesso libero e gratuito presso il Centro multidisciplinare per la salute sessuale all’ospedale oftalmico. Oltre al dottor Bello, che lo dirige, ci sono un’ostetrica (la dottoressa Anita Fortunato), un medico legale (dottoressa Valentina De Biasio) e tre mediatori culturali. Una struttura che ha pochi eguali a livello nazionale. «Un lavoro preziosissimo è svolto dai consultori sul territorio – spiega il dottor Bello – La chiave del nostro lavoro non è colpevolizzare le donne o le famiglie, ma essere inclusivi e spiegare che si tratta di pratiche molto pericolose, tanto che in alcuni casi le neonate possono morire in seguito alla mutilazione».

Oggi ricorre la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili e i dati sul fenomeno sono per certi versi sorprendenti. Secondo una ricerca dell’Università Bicocca di Milano le donne sottoposte durante l’infanzia a mutilazione che oggi vivono in Italia sono tra le 60 e 80 mila. La maggior parte sono originarie di Egitto, Senegal e Nigeria. Si stima inoltre che le bambine e ragazze a rischio, di età compresa tra 0 e 18 anni, sono tra il 15 e il 24%.

Negli ultimi mesi molte ragazzine si sono presentate nell’ambulatorio del dottor Bello con una domanda: «Sono normale?». «Molte non hanno subìto mutilazioni - spiega lui - Altre non ne erano consapevoli, ma non hanno avuto ripercussioni sulla vita sessuale o riproduttiva. La cosa più importante da spiegare, dopo averle aiutate, è che non ripetano questa pratica aberrante sulle loro figlie». —

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